Il pittore Oscar Ghiglia   (Pagine 0 )      Fonte : Dedalo - Rassegna d'arte diretta da Ugo Ojetti - 1920

{\rtf1\ansi\ansicpg1252\deff0\deflang1040{\fonttbl{\f0\fnil\fcharset0 Book Antiqua;}} \viewkind4\uc1\pard\f0\fs24 IL PITTORE OSCAR GHIGLIA \par \~ Sbaglia chi da lontano immagina i livornesi simili agli altri toscani. Livorno, \'e8 il gran porto da dove nella Toscana agricola e casalinga, serrata tra Appennino e Maremma, entrano la curiosit\'e0 dell' avventura, l'amore del rischio, la nostalgia del largo e le favole dell'ignoto. Livorno, come citt\'e0 di porto, a nata soltanto alla fine del cinquecento sotto Ferdinando primo de' Medici che tanto l'amava da chiamarla la sua dama; gente nova, oggi si direbbe americani, a confronto di senesi, fiorentini, lucchesi e aretini e dei loro secoli etruschi e romani. L'indulto che il novello Romolo eman\'f2 nel 1593 invitava, " ponentini, spagnoli, portoghesi, greci, italiani, ebrei, turchi, mori, persiani ed altri \'84 a fissarsi col loro traffico in quel suo nuovo emporio. Quel che in pieno seicento dette la barocca e industriosa miscela non poteva essere arte : furono, benedetti, commercio e danaro. Per scorgere un'arte livornese, si dovette aspettare l'amalgama dei secoli, di due o tre secoli; si dovette aspettare che da quella singolare postura e singolarissima popolazione si formassero una civilt\'e0 e quasi un'anima livornese. Quest'anima oramai c'e, visibile e inconfondibile. Una caustica vivacit\'e0, una spensierata generosit\'e0, un'audacia tra gentile e spavalda che sa sempre di marinaresco, un impeto e un orgoglio temperati da uno scetticismo argutissimo, un saper rinnovarsi secondo gli avversari e gli eventi,un darsi senza abbandonarsi, un riprendersi senza abbandonare, una malinconia che mai dispera ma quasi gode nuovo sapore del mondo con quella salsa d'amaro, danno ai livornesi un temperamento tra guascone e nordamericano, una salute morale giovanile ed accesa per la quale essi non perdono mai di vista il vero, e prima lo pesano e lo misurano a scanso di equivoci e d'inganni, e poi se lo abbelliscono per amarlo meglio e anche perch\'e8 gli altri lo invidino di pi\'f9. \par Il pittore Oscar Ghiglia \'e8 livornese. Certo con la sua patria non si spiega tutta l'arte sua, e nemmeno quella di Giovanni Fattori anch'egli purissimo livornese e venerato dal Ghiglia come un maestro. Ma anche \'e8 certo che a trasporre in arte le dette qualit\'e0 di cuore, di cervello, di costume dei livornesi, le si ritrovano tutte nella pittura di Oscar Ghiglia, per fortuna della sua sincerit\'e0. La pittura \'e8 infatti per lui, non un modo d'inventare o sognare, ma un modo di capire, ordinare, dominare, godere il vero e renderlo con l'arte prezioso, durevole e desiderabile : prezioso prima di tutto per lui che lo guarda, lo ama, lo gode. E pittura d'un sensuale sano e consapevole, che non vuole saperne d'astrazione e di fantasia e cerca un suo rapimento ideale nel possesso, anzi dominio, di quel che tocca e vede. Toccare. Pare che Oscar Ghiglia tocchi le cose prima di vederle, e quando si mette a guardarle, a studiarle, a definirne forme, luci, riflessi, lo faccia per moltiplicare la tattilit\'e0 delle sue dita come fanno gli adoratori della scultura che a un certo punto socchiudono gli occhi e passano la mano sopra una spalla, una gola, una tempia di marmo per sentirne meglio, toccandoli, tutti i dolcissimi piani e da quelli giudicare la finezza dell'arte. \par \par La pennellata del Ghiglia \'e8 densa, netta e meditata, distesa in un senso solo per ogni piano : non larga ma uguale, cosi da riempire con tante pennellate parallele gli spazi di quel tono. Se scopre un'altra sfumatura, la isola, e quell\rquote isolamento riempie con sicure pennellate ancora d'un sol tono, lasciando spesso visibile tra una toppa e l'altra il primo disegno turchino o una riga di fondo che l'incastoni. Niente e approssimativo o casuale; niente sospiro; tutto parola precisa e sonora; tutto capito e definito con una mente avveduta e limpida quanto l\rquote occhio: limpida ma cosi finemente amorosa che questa sagace e minuta definizione della realt\'e0 per toppe di colori e di riflessi non riesce mai a fredde scomposizioni geometriche o ad astrazioni decorative da tappeto o da intarsio, ma si presenta vero, vivo, solido, profondo e bello, anzi pi\'f9 bello perch\'e8 riordinato, stabile e tutto prezioso. La composizione che lo riordina \'e8 semplice. Il centro d'un quadro del Ghiglia \'e8 quasi sempre il suo centro d'equilibrio, e la figura e l'oggetto posti in questo centro sono saldi e compatti di peso e di colore. Anche nelle "nature morte\'84 quel casuale e quello spezzato di talune "nature morte\rdblquote secentesche e anche, in Francia, recenti, che non sai perche non continuino per un altro palmo o un altro metro, ripugna a questo pittore-architetto che va spegnendo i suoi rilievi da quel centro fino alla cornice con gradazioni definite e lisci riposi senza abbandonare al caso dello sfumato un centimetro della sua tela, ma riempiendola tutta della sua lucida volont\'e0. \par Volont\'e0 di ricchezza. La materia pittorica di Oscar Ghiglia d'una ricchezza di gemma, rara e forse unica nella magra pittura dei toscani dell'ottocento. Non e quella marrana lotosa abbondanza d'impasti, scolature, riccioli, frange, schiaffate l\'e0 con la spatola o col tubetto stesso, cara ancora a qualche tisicuccio che s'atteggia ad Ercole. Questa del Ghiglia e ricchezza da signore, linda e piana, distribuita con delicata generosit\'e0. Trascurare un angolo o un centimetro del suo quadro sarebbe per lui come pei poeti, quando scrivevano in versi, trascurare una sillaba o un accento. E per gli amici che hanno conosciuto Oscar Ghiglia nei giorni della sua impavida povert\'e0, niente era pi\'f9 commovente che vedere apparire sul cavalletto nella stanza nuda uno di questi suoi quadri cosi pieni, solidi, lucenti, preziosi. \par \par \~ Egli aveva a mostrarli le ritrosie e le cautele dell'avaro che nasconde il suo tesoro, e a vedervi ammirazione frizzava tutto in un livornesissimo sorrisetto tra soddisfatto e scanzonato, che certo voleva dire il povero \'e8 lei perche io, vede, i tesori me li so creare, quando voglio, da me. Un quadro alla volta vi mostrava e finch\'e8 l'uno non era tornato nel suo nascondiglio con la faccia al muro, l'altro non appariva. Gli piaceva tra la Luce di due pitture lasciarvi patire per qualche minuto l'ordinato e spolverato squallore della sua stanza, come una pausa, e come un monito che sapeva d'orgoglio. E poteva aver bisogno di cento lire, ma al compratore il suo quadro si divertiva a farglielo sospirare, perche imparasse a desiderarlo, cio\'e8 ad amarlo. Si pensi che a questa pittura ricca, meditata, nitida e compiuta, Oscar Ghiglia \'e8 venuto fin da vent'anni fa, quando furoreggiava in Italia quell' impressionismo di seconda mano pei cui seguaci costruirsi un quadro meditatamente e fuori dell'aria aperta e dipingerlo tutto senza comodi abbandoni, ripieghi, svolazzi, vuoti e sprezzature, era un segno di cecit\'e0 filistea. Per la prima volta Oscar Ghiglia era venuto a Firenze nel dicembre del 1900, e allora per la prima volta aveva veduto i musei e per la prima volta aveva parlato col suo conterraneo Giovanni Fattori, semplice e solitario, professore dell'Accademia (cento lire al mese di stipendio). \~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ \par \par Il Fattori lo aiut\'f2, e non solo di consigli, che gli permise di frequentare la scuola del nudo e, qualche sera, di dormire, in mancanza di meglio, nel suo studio. Narra lo stesso Ghiglia che "il Fattori adorava gli antichi, quelli che allora non si sa perch\'e8, si chiamavano i primitivi, e parlava di Giotto con venerazione e conoscenza, senza parole difficili ma da vicino. \'84 Giotto, Fattori. Questo binomio che non schiaccia il Fattori, adesso e diventato d' uso corrente fra i molti glorificatori a voce e in iscritto, del vecchio macchiaiolo livornese "che parlava poco, non discuteva mai \'84 e dipingeva sempre ; ma non credo che allora al Ghiglia apparisse tanto sicuro e preciso. Certo la sua venuta a Firenze, la venuta di lui provinciale (spregiudicato ma provinciale) alla capitale, lo confort\'f2 in tre idee : che a dir arte moderna per intendere qualcosa di terribilmente nuovo, primigenio e antitetico on l'arte passata si dice una presuntuosa sciocchezza degna davvero di provinciali educati al Caff\'e8 del Progresso, perche l'arte che importa e una sola, senza aggettivi, e moderno pu\'f2 anche essere un aggettivo peggiorativo; che il vero, il vero tangibile, osservato con amore, posseduto con volutt\'e0, nettamente contornato e limpidamente colorito, e il solo scopo dell'arte; che darsi all'arte vuol dire oggi darsi a soffrire, quasi senza speranza. \par Ancora nel 1913 scrivendo l'elogio, " io livornese e pittore \'84 , di Giovanni Fattori a capo d'un bel volume dove per la prima volta il Fattori stabile e maggiore fu separato, in belle riproduzioni, dal Fattori corsivo e minore, Oscar Ghiglia scriveva di lui e di se stesso : "Comprese che la pittura \'e8 fondata unicamente sulla legge del saper trovare il tono giusto d'un colore e costringerlo nel suo giusto spazio, e che l'emozione che fa sorgere l'idea nella mente del pittore e data soltanto dalle dimensioni dei colori, dalle irradiazioni che la luce ne fa emanare per la simpatia che li avvicina, e dalle distanze rispettive. \'84 \~(1) \par \par Quanto al soffrire il Fattori gli disse allora, e gli ripet\'e9 anche pochi giorni prima di morire: " Tu sarai sempre povero perch\'e8 sei un artista ".\~\~ Profezia un po' romantica, che il giovane Ghiglia accett\'f2 con serenit\'e0 e anche con orgoglio, perche in tutte e due le proposizioni cap\'ec che il buon maestro sottintendeva "come me \'84 : e questo confronto al Ghiglia importava pi\'f9 della povert\'e0 obbligatoria. Il fatto si \'e8 che tornato a Livorno egli volle conoscere se stesso: contare e pesare quel suo corporale patrimonio, che non ne aveva altri e forse il cavalletto su cui dipinse quelle tre tele nemmeno era suo. Non dico che quel soggetto egli lo scegliesse col deliberato proposito di farsi un profondo esame di dentro e di fuori. Ma in quella prima scelta c'\'e8 tutto Ghiglia: la sua istintiva volont\'e0 di capire, la sua diffidenza e scontentezza anche verso se stesso, la sua incapacit\'e0 d'essere felice se non vede e non sa e non rende a parole o a colori limpidamente, tutto quel che il suo occhio e la sua intelligenza gli possono rivelare delle cose, degli uomini, delle idee. Ma per capire questa psicologia, bisogna conoscere la sua vita fino allora. \par Era nato il 23 agosto 1876. Suo padre, Valente Ghiglia, era un piemontese, di Torino, anzi dei "Granatieri di Sardegna \'84 venuti in Toscana con le truppe piemontesi dopo il 1860, sposatosi a Livorno, congedatosi dall'esercito e impiegatosi in quel Comune. Mor\'ec a quarantadue anni lasciando, in una casuccia di via Paoli verso Porta alle Colline, la vedova con tre figli. Oscar era il pi\'f9 piccino, di salute un coccio, libero, appena si resse sulle gambe, d'andare dove voleva, ad ogni ora. E naturalmente andava gi\'f9 al mare e al porto. Ma verso i dodici anni dovette anche pensare a lavorare. Lo collocarono in una fonderia primitiva, a tirare il mantice, poi a preparare e ripulire le " anime \'84 per le fusioni in bronzo e in ottone: cannelli, bocchette, rubinetti e palle da ornare le spalliere dei letti: roba gi\'e0 che pesava e splendeva. E i soldi che guadagnava erano tanto pochi che ogni giorno se li mangiava in ciliege. \par \par \~\~ S'ammal\'f2, si rimise su alla meglio e fu tolto dalla fonderia. Un siciliano che commerciava in agrumi se lo port\'f2 a Pistoia, sul mercato, tra le ceste d\rquote aranci gialli e di limoni verdi ; un grossista di Viterbo se lo port\'f2 a Viterbo a vendere cioccolata, cotonate, colori. Nella mesticheria del viterbese, Oscar Ghiglia ha primamente imparato i nomi e le materie dei colori ; colori, s' intende, da imbianchino e da verniciatore. Per allora non desiderava che maggior liberta e perci\'f2 a diciassett'anni, quando i suoi bei colleghi borghesi studiano calligrafia d'arte nelle Accademie, si dette a fare il merciaio ambulante : tele, nastri, stringhe, spille, bottoni e matite. Una cassetta sulle spalle o un carrettuccio da spingere a braccia e via sulle strade bianche di Lunigiana, a Serravezza, a Massa, a Carrara, a Pietrasanta. Sole, polvere, fango e stanchezza ; compagnie losche ; gergo di vagabondi ; lezzo d'osterie ; e ad ogni svolta di strada il respiro del gran mare, libero, pulito, abbagliante, refrigerante, con in fondo ogni sera lo sguardo amico dei due fari di Livorno. Un gran giorno fu quello in cui la figlia del prefetto di Massa lo fece salire fino in casa, fino in salotto, per scegliersi due nastri e sorridergli. Ma cosi non poteva durare. La stanchezza non era soltanto fisica. Ghiglia mutava e mutava mestiere sentiva ch'era vicino a schiantarsi, una sera o l'altra, all'angolo d'una strada deserta. Una volta che torn\'f2 a Livorno per rifornirsi di quei suoi scarti di magazzino, giur\'f2 di non ripartirne pi\'f9 a nessun costo. Disegnava un poco con le matite che vendeva. Conobbe due pittori giovani come lui, Lloyd e Vinzio. Si dette a leggere Maupassant e Zola. Riusc\'ec a comprarsi dei colori. Riusc\'ec a concentrare la sua volont\'e0 in uno sforzo solo, verso uno scopo solo. E vinse, prima di tutto, se stesso. \par \~ \par Nel 1900 come ho detto, pot\'e8 venire a Firenze e parlare col Fattori. Nel 1901, a venticinque anni gi\'e0 se ne stava, un dipinto, in una Bella sala all'esposizione di Venezia, seduto dentro una solida poltrona, guardando in faccia il suo pubblico, reggendo nel pugno le definitive insegne del suo potere, cio\'e8 del suo ingegno, tavolozza e pennelli. Non c'era pi\'f9 da discutere e da dubitare almeno di fronte a se stesso, al pubblico e ai colleghi. Ed ecco che subito, appunto perch\'e8 aveva conquistate, egli detest\'f2 le esposizioni. Gli apparvero quale appariva Roma a quell'altro scontroso di Salvator Rosa. \par \par \~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ Che di tre cose e l'abbondanza in Roma, Di quadri, di speranze e baciamani. \par \par Non tanto la sua fierezza e diffidenza erano offese da quelle fiere quanto la stessa concezione dell'arte come delicata confidenza e meditato abbandono. Ancora nel 1903 accett\'f2 di esporre a Venezia un ritratto : quello di sua moglie, la quale ha davvero la met\'e0 di lui e della sua energia. E' il pi\'f9 bello dei suoi ritratti, scultorio, solido, pesante, in penombra, con gravi colori, turchini notturni, bruni affocati, verdi d'alloro, in un'armonia lenta e piena come d'organo. Ma gli altri ritratti di lui non li amo. Egli non riesce a dominarvi il suo soggetto, ne accetta di lasciarsene dominare e d'obbedirgli. Ne dipinse fino al 1906. Poi nello stesso 1906 a Firenze e nel 1907 a Faenza, nell'esposizione pel centenario del Torricelli, apparvero di lui alcune piccole tele delle quali una m'\'e8 rimasta indimenticabile, "Noia" : una modella ignuda sopra un letto piatto, la faccia al muro, assopita, una chitarra appoggiata al letto, una luce gialla uguale di lampada. E quella di Faenza a stata l'ultima esposizione alla quale egli ha partecipato. \par \par \~ Cerca e cerca, egli aveva infatti trovato e toccato in quelli anni il fondo semplice e sano dell'arte sua, e i suoi limiti; e da allora ha stimato inutile o mortificante confidarsi al pubblico. Chiuso in una casuccia di via Boccaccio, una strada gi\'e0 campestre ai limiti di Firenze verso San Domenico, infastidito dalla esterna fatica dei ritratti d'ordinazione, egli aveva dunque cominciato a dipingere, per suo sfogo e riposo, alcuni piccoli quadri di commossa intimita familiare; a dipingerli con la sicura e casta semplicit\'e0 di colore e di taglio con cui gli apparivano e lo commovevano. Quella malinconia di cui parlai in principio, dopo tante iniquit\'e0 e tradimenti della fortuna, trabocc\'f2 allora come mai nelle sue tele, naturalmente e soavemente. Quel darsi senza abbandonarsi e quel riprendersi senza abbandonare che \'e8 la propria natura del poeta capace di trarre arte dai suoi affetti, ebbero in quel chiuso il loro pi\'f9 libero gioco. Nella penombra intorno a una cuna, nella luce quieta della cucinetta familiare, nello splendore d'un fiore, d'un frutto, d'un gomitolo di lana rossa dentro la pulita angustia della sua casa, quell' intelligenza errabonda, sospettosa e orgogliosa, si acquiet\'f2 e si distese. Fu proprio da quell'osservazione placata e amorosa dei fatti e oggetti pi\'f9 vicini e pi\'f9 umili, da quel concentrare il suo fuoco in un sol tema dentro piccole tele, badando a non disperderne una sola favilla, ch'egli \'e8 venuto tardi a dipingere le sue cosi dette "nature Morte\'84 con tanta intensit\'e0 di calore e di colore : sonetti in cui ha serrato poemi, sonetti limati e battuti sillaba per sillaba, con rime echi ed assonanze che si prolungano fuor della breve realt\'e0 scritta o dipinta. Viveva allora tra gli scrittori del Leonardo e poi della Voce : Papini, Prezzolini, Vannicola, Amendola, gli erano amici quotidiani. Ma, livornese sottile, non si lasci\'f2 sedurre dalle liriche novit\'e0 della letteratura e dell'arte, per poco, d'avanguardia. \par \par Quegli ingegni ansiosi, entusiasti e insofferenti, la loro cultura varia e vasta in continuo divenire, le loro dispute valorose che lanciavano gran reti di sofismi nel mar dell'infinito per trarne almeno un pesciolino reale e lucente da un marmo del tavolino al caff\'e8 in prova della loro giovanile onnipotenza, se non convinsero sempre Oscar Ghiglia, ne addestrarono per\'f2 la curiosit\'e0 e la dialettica in difesa dell'arte che ormai era sua, delle certezze che ormai lo confortavano. E adesso quelli amici, tornando "sui quaranta, dalle loro esperienze e vagabondaggi, sono lieti di ritrovarsi il loro Ghiglia fermo e sereno nel piccolo mondo delle sue idee chiare e della sua soda pittura, l'inesorabile Ghiglia che dieci anni fa, nel pieno del tumulto tra postimpressionisti, cubisti e futuristi, scriveva tranquillo questa paginetta, direi, morale: "Dissipata quell'aureola di pittori rivoluzionari, per cui anche i pi\'f9 mediocri fra gl'impressionisti furono notati e commentati, chi rimase di costoro di cui l'opere dicano qualcosa a noi che, avendo sorpassato la loro rivoluzione che essi l'Accademia, non siamo soggetti a scambiare la novit\'e0 per genialit\'e0? Degas e Manet, la cui arte trascese i preconcetti della scuola e gl\rquote imperativi tecnici e si afferm\'f2 per ci\'f2 che aveva di personale da esprimerci. \par Ma \'e8 sopratutto Cezanne (quel Cezanne che ormai i cubisti, che sono nati dalle sue deficienze, vorrebbero superare, ponendo l'arte alla pari di un qualunque processo di fabbricazione di saponette, che si perfezionare aggiungendo un pezzo alla macchina o un ingrediente all'impasto) e soprattutto Cezanne che non volendo pi\'f9 saperne d'impressionismo, di divisionismo, di complementarismo , ponendosi con occhi puri, mente sgombra, anima vergine in cospetto alle cose, mir\'f2 non gi\'e0 a fare della "realt\'e0" il fine della pittura ma il tramite per cui la "sua anima prodigava agli uomini quel sentimento sacro e profondo della vita che sfugge loro nello sminuzzamento del vivere quotidiano". Per cinque anni, dal 1915 al 1919, dopo una lunga malattia, Oscar Ghiglia, lasciata Firenze, e andato a vivere sul suo mare nativo, vicino a Livorno, a Castiglioncello una spiaggia che, quando era quasi deserta, fu cara a tutti i macchiaioli, al Fattori, al Lega, al Signorini, per l'ospitalit\'e0 di Diego Martelli. Ma ora a Firenze \'e8 tornato, sulla collina d'Arcetri, tra querce ed olivi. Ha quattro figliuoli. Due, Valente e Paolo, gi\'e0 dipingono; e credo non passeranno molti anni che si dovr\'e0 parlare anche di loro. UGO OJETTI \par \~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~\~ \par \par }